Taglieri (M5S): “Il testo filo-leghista del Governo Meloni spacca l’Italia in due. Con queste regole, in Abruzzo del 2020 ci sarebbero stati oltre 400 milioni in meno solo per la sanità”
Questa mattina ho depositato una mozione per chiedere un impegno formale della Regione Abruzzo a contrastare le modalità di autonomia differenziata tra regioni, come prevista dal DDL Calderoli.
L’Abruzzo rientrerebbe in quelle regioni gravemente mortificate dalle Disposizioni per l’attuazione delle autonomie differenziate. Basti pensare che, se nel 2020 fosse stato in vigore il DDL Calderoli, l’Abruzzo solo in ambito sanitario avrebbe subito una decurtazione di oltre 400 milioni di euro.
E’ chiaro che il disegno di legge filo-leghista, presentato dal Governo Meloni, rischia di frantumare il Paese con conseguenze devastanti sul futuro di milioni di cittadini e accrescere ulteriormente le differenze tra regioni del Nord e del Sud ampliando le diseguaglianze tra territori e cittadini, che si vedrebbero privati di fondamentali diritti in settori sensibili come salute, scuola, ambiente, energia e tanto altro. Ho chiesto quindi a Marsilio, in qualità di Presidente della Regione Abruzzo, di prendere un impegno formale a difesa del nostro territorio e di intercedere presso il suo Governo al fine di correggere le storture di questo documento.
Tra l’altro attualmente il DDL contiene possibili rilievi di incostituzionalità, poiché la Costituzione seppur configurando l’autonomia come una possibilità offerta alle regioni, impone sempre e comunque il rispetto del superiore obiettivo al raggiungimento di una più forte unità del Paese e uguaglianza dei cittadini.
Questo non avviene perché Calderoli e il suo entourage non hanno nemmeno avviato lo studio per determinare i cosiddetti Livelli Essenziali di Prestazione (LEP): una forma di garanzia sulla corretta distribuzione dei servizi in base al fabbisogno e non in base alla spesa storica che, è evidente, nel tempo ha sacrificato sempre le regioni del meridione, tra cui l’Abruzzo.
Il testo, infatti, attualmente prevede che per il trasferimento dei fondi dello Stato verso la Regione si utilizzi, il criterio della spesa storica sostenuta per l’erogazione dei servizi pubblici; con il vincolo però che il finanziamento procapite non sia inferiore al “valore medio nazionale”, riservando un ulteriore “tesoretto” alle regioni più ricche che, in virtù della maggiore popolazione e maggiore capacità economica, hanno costi di finanziamento procapite inferiori alla media nazionale.
Viene rimandato, invece, il calcolo dei fabbisogni standard sulla base dei livelli essenziali delle prestazioni LEP. Questo semmai doveva essere un prerequisito! La mancanza di individuazione dei LEP rappresenta un fatto gravissimo, perché in pratica dove lo Stato ha investito di meno continuerà a investire meno, dove ha erogato più fondi continuerà ad erogarne di più, almeno fin quando non saranno definiti e finanziati i LEP.
Il progetto autonomista, in quest’ottica, contrasta anche con il Pnrr, che punta a colmare i divari non solo tra Nord e Sud, ma anche in specifici e sensibilissimi settori come sanità e istruzione. E’ importante ricordare che se il Pnrr ha portato in dote all’Italia più di 200 miliardi è perché c’è il Mezzogiorno. Tra i criteri di ripartizione delle risorse del Recovery Fund, infatti, c’erano la densità della popolazione, il tasso di disoccupazione e il livello di Pil pro capite. A nessuno può sfuggire quanto abbiano contato i divari del Meridione nel fruttare all’Italia 200 miliardi. Divari che devono essere sanati e non amplificati.
Se Parlamento, Governo, Regioni ed Enti Locali non sono in possesso dei dati per giungere ad una definizione dei LEP è meglio non iniziare, altrimenti potremmo trovarci nello stesso stato di stallo generato dai LEA in Sanità, che tuttora si fa fatica a definire e che non hanno in alcun modo evitato un evidente divario nella erogazione delle prestazioni tra le diverse regioni. Come dimostrano i numeri altissimi della mobilità passiva e della rinuncia alle cure.
Facciamo una stima di quello che sarà il futuro, calcolandolo sulla base dei dati relativi alla “Spesa Statale Regionalizzata”. Prendiamo per esempio i dati pubblicati dalla Ragioneria Generale dello Stato nell’anno 2020, se fosse stato già in vigore il DDL Calderoli, l’Abruzzo Avrebbe subito una decurtazione dei fondi di oltre 400milioni di euro. Una follia!
Eppure le drammatiche vicende legate alla pandemia hanno confermato la necessità di ridefinire competenze tra lo Stato, le Regioni e il sistema delle Autonomie locali, proprio a partire dal Sistema Sanitario Nazionale.
Un’ultima riflessione va fatta sull’ipocrisia dell’Autonomia differenziata. Giancarlo Giorgetti, ministro dell’ Economia, autorevole esponente della Lega e strenuo promotore della autonomia differenziata, ha vietato alle regioni l’acquisto di crediti fiscali relativi ai bonus edilizi ponendosi in assoluto contrasto con la impostazione del DDL sulla autonomia differenziata. Desta non pochi sospetti un atteggiamento così contraddittorio, apparentemente secondo la convenienza del momento, tra il centralismo e il regionalismo estremo.
Per questo chiedo formalmente attraverso l’approvazione della Mozione che abbiamo presentato come Gruppo del M5S e di cui sono primo firmatario che la Regione Abruzzo a trazione Fratelli D’Italia, lega e Forza Italia ci faccia sapere, ancora una volta, da che parte sta. Se da quella di Giorgetti, Calderoli e Meloni, che vuole depauperare l’Abruzzo e le sue risorse o da quella degli abruzzesi che hanno il diritto costituzionalmente garantito di avere servizi competitivi in ambito sanitario, sociale e scolastico.
Approfondimento metodologico:
La spesa sanitaria regionale per il finanziamento dei LEA (Livelli essenziali di Assistenza), nelle regioni a statuto ordinario è finanziata da tributi regionali (IRAP, Addizionale IRPEF) e una “robusta” integrazione dello stato, chiamata “compartecipazione regionale all’IVA” (D.Lgs 56/2000), che in pratica riassegna alle regioni una quota dell’IVA in base al luogo dove è stata riscossa. Qualsiasi prestazione non rientri nei LEA può essere finanziata solo da risorse regionali, con nuove tasse, e non sempre questo è possibile. Non in Abruzzo, perchè la regione si trova in fase di rientro dal debito del passato e ha l’aliquota della addizionale IRPEF già al massimo, non può essere ancora aumentata.
Nella immagine qui sopra proveniente dal report 2022 della Corte dei Conti “Referto al Parlamento sulla gestione finanziaria dei servizi sanitari regionale – ESERCIZI 2020-2021“, in cui le cifre sono in migliaia di euro, si vedono chiaramente i tre “pilastri” del finanziamento della sanità, (ce ne sarebbe un quarto, “Ricavi Propri”, ma è trascurabile), e si vede altrettanto chiaramente che le risorse regionali coprono in media il 20% della spesa con dei minimi del 9% in Molise e Basilicata, un 18% in Abruzzo, fino al 30% di Veneto, Lazio ed Emilia e il 32% della Lombardia. Le regioni più piccole e meno industrializzate dipendono molto di più dal finanziamento dello stato.
Un’altra osservazione importante è che le tre regioni che hanno chiesto immediatamente l’autonomia Veneto, Emilia e Lombardia “pesano” il 40% dell’intera spesa sanitaria delle regioni “ordinarie” (le altre hanno già una autonomia definita “speciale”), e con il Lazio arrivano al 50%. Lo ripeto meglio, 4 regioni Veneto, Emilia, Lombardia e Lazio, assorbono la metà della spesa sanitaria, e le restanti 11 regioni si dividono l’altra metà.
Il meccanismo della compartecipazione IVA che è in pratica la vera base del finanziamento del sistema sanitario ha un meccanismo abbastanza tortuoso che prevede di prendere una quota parte dell’IVA riscossa in ogni regione e redistribuirla in modo un po’ più solidale, che tecnicamente si definisce “perequativo”.
Si parte da una percentuale dell’IVA riscossa in ogni regione, che è fissata anno per anno da appositi decreti della presidenza del consiglio, pubblicati sulla gazzetta ufficiale.
Un successivo decreto formalizza il calcolo di questa ripartizione, prendiamo ad esempio i dati della compartecipazione regionale all’IVA per l’anno 2017, che rimandano alla Gazzetta Ufficiale n. 120 del 24 maggio 2019, in cui è definita una prima base di calcolo per il gettito IVA da prendere in considerazione, il 63,6% del totale riscosso.
Il totale di quest’IVA è quello che verrà messo a disposizione delle regioni, riproporzionandolo in base ad un meccanismo di parziale compensazione.
Anzitutto la ripartizione di ogni regione viene divisa in due quote, anch’esse fissate annualmente per decreto, in questo caso 72,5% e 27,5%.
La seconda, 27,5%, viene girata tal quale al “fondo perequativo”, e si vede in colonna 6.
Per determinare la prima quota si prende una quota di “spesa storica” di importo equivalente all’IVA che viene compensata (colonna 1), e si confrontano le percentuali equivalenti del 72,5% di “spesa storica” (colonna 2, che è il 72,5% di colonna 1) e “compartecipazione” (72,5% della tabella A di sopra).
Nelle regioni in cui la quota di l’IVA riscossa supera la quota di “spesa storica”, la parte eccedente viene versata al “fondo di solidarietà” (colonna 4), fondo le cui risorse vengono assegnate alle regioni “sofferenti”, in cui la quota di IVA non è sufficiente a coprire la “spesa storica”, in base alla differenza.
Il totale delle colonne 2 e 3 è lo stesso, per cui le eccedenze della colonna 4 compensano esattamente le carenze della colonna 5.
Con una semplificazione accettabile si può dire che le regioni “ricche” ricevono il 100% della loro quota di IVA meno la quota devoluta (colonna 4), mentre le regioni “povere” ricevono il 100% della loro IVA più la quota di contributo solidale (colonna 5).
Ma alla fine tutto questo paziente lavoro di calcolo viene poi smontato in sede di Conferenza dei Presidenti
In cui vengono decisi dei correttivi che praticamente sterilizzano la perequazione, e viene erogata una cifra sostanzialmente pari alla spesa storica.
Tutto questo vortice di numeri e decreti fa sì che ogni regione italiana a statuto ordinario riceva una quota importante, che varia anno per anno, in funzione anche del gettito IVA locale, di trasferimenti dallo stato per assicurare i LEA. Questa quota sarà proporzionalmente minore nelle regioni che hanno più risorse proprie da IRAP e IRPEF, e invece molto maggiore per regioni piccole ed economicamente disagiate, ad esempio come Molise e Basilicata.
E’ importante osservare che il “costo pro capite” visto dallo stato non è uguale per tutte le regioni, cosa che non indica necessariamente una efficienza nella spesa sanitaria, e sarà sempre maggiore per le regioni che hanno meno tributi propri e meno abitanti su cui ripartire il finanziamento.
Quali sono le conseguenze del DDL Calderoli in tutto questo, e perchè non vogliamo una Italia a pezzi?
La nuova bozza del DDL (ma è una bozza, e sembra strano che la Lega rinunci ad una sua bandiera, tanto una manina che rimuove il comma si trova sempre) all’articolo 4 scrive “Il trasferimento delle funzioni, con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, concernenti materie o ambiti di materie riferibili ai LEP di cui all’articolo 3, può essere effettuato, secondo le modalità e le procedure di quantificazione individuate dalle singole intese, soltanto dopo la determinazione dei medesimi LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard.” Quindi qualcuno sembra avere recepito il diluvio di osservazioni secondo cui era impensabile accordare una autonomia di spesa senza accordarsi prima su quelli che saranno riconosciuti come costi.
Il testo originale però prevedeva un tempo massimo di 12 mesi per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni, decorsi i quali si procedeva comunque nell’attribuzione delle funzioni relative all’autonomia, finanziandole in base al riferimento del “costo storico” ma sulla base del “valore medio nazionale procapite”, come espressamente confermato dalla presidenza del consiglio dei ministri.
Se dovesse essere questo il criterio, se nessuno individua i “fabbisogni standard” (non dimentichiamo che i LEA esistono da venti anni ma i loro fabbisogni standard no), le risorse da assegnare avranno un indice di costo medio nazionale, aumentando le risorse a disposizione per le regioni che hanno un costo procapite inferiore alla media, perchè integrano maggiormente con risorse proprie, e diminuendole a chi ha un costo maggiore, ovvero alle regioni la cui sanità dipende maggiormente dai trasferimenti dallo stato, praticamente tutte tranne Lombardia, Emilia, Veneto e Lazio.
La Ragioneria Generale dello Stato, pubblica annualmente dei report che certificano i trasferimenti dallo stato, indicando anche i costi pro capite, con allegato un file excel che riporta tutte le tabelle, anche quelle non comprese esplicitamente nel report.
Per l’anno 2017 c’è il Report “La Spesa Statale Regionalizzata – Anno 2017”, che a pagina 56 riporta i dati dei trasferimenti dallo stato per i LEA della sanità
In questo anno, se fosse stato applicato il criterio del “valore medio nazionale procapite” che a regime andrebbe applicato per tutti, e lo sarebbe “di fatto” nel momento in cui i concetti dell’autonomia differenziata si applicano al 40/50% della spesa sanitaria con il vincolo della invarianza del saldo complessivo, porterebbero questi risultati
Per l’anno 2020, che risente delle maggiori spese finanziate dallo stato per via della pandemia di Covid-19 c’è il Report “La Spesa Statale Regionalizzata – Anno 2020”, che a pagina 56 riporta gli analoghi dati dei trasferimenti dallo stato per i LEA della sanità. In questo caso l’aumento di spesa sanitaria ha alterato profondamente il costo medio aumentando le disuguaglianze soprattutto per le regioni del centro-sud. La simulazione, e fortunatamente è solo una simulazione, indica che con queste regole avremmo vissuto una situazione veramente complicata
Gli ultimi dati disponibili, quelli dei trasferimenti 2021, grazie al miglioramento dell’economia generale e al minore impatto delle spese Covid avrebbero delle proiezioni meno drammatiche, ma nemmeno poi tanto
Gli esiti della autonomia differenziata, sembrerebbero andare in questa direzione, premiando le regioni “forti” e penalizzando quelle “deboli”. L’opposto di quanto volevano i nostri padri costituenti. E’ questo che vogliamo? Soprattutto, ci rendiamo conto che è questo, presumibilmente, che otterremo?
Un discorso a se, che andrebbe fatto, è quello della mobilità passiva, motivo per cui le regioni “forti” forniscono prestazioni sanitarie a quelle “deboli”, con un costo che viene posto a carico della regione di provenienza. L’Abruzzo nel 2021 ha registrato un saldo negativo di 176 milioni di euro, per le prestazioni che la Regione non è stata in grado di erogare ai suoi cittadini costringendoli di fatto ad emigrare per farsi curare. Un debito nel debito.